Mi dicono che il fatto che gli Italiani abbiano reazioni
così entusiastiche nei confronti di una partita degli Europei sia un buon
segno: vuol dire che siamo vivi, che abbiamo un cuore, che percepiamo un’unità
nazionale che a tratti, negli ultimi tempi, è sembrata appannata. Che ne
vogliamo essere partecipi, viverla. Ma dimostrare di essere così appassionati,
così vivi, recettivi, non è forse ancora più tragico?
Dov’era la passione, lo
spirito, quando si approfittavano di noi, quando con la scusa di garantire ai
giovani un futuro migliore, tagliavano sulle pensioni dei nostri genitori, dei
nostri nonni, quando tagliavano sulla sanità, sulla scuola, quando investivano
in “fondamentali” grandi opere, quando ci facevano diventare lo zimbello del
mondo intero?
Forse avrei preferito conservare un’immagine degli Italiani come
malati terminali, involucri spenti, dall’elettroencefalogramma ormai irrimediabilmente
piatto.
Hamid Ziarati, scrittore iraniano, durante una conferenza
sulla Primavera araba cui ho avuto modo di assistere, era intervenuto chiedendosi, allibito, come fosse possibile
che nel nostro Paese nessuno fosse sceso in piazza per dissentire, per reagire
in risposta a un sistema palesemente sbagliato, chiedendosi come avessimo
potuto preferire piuttosto chinare, sordi, la testa.
Afa: ho la finestra aperta.
Sento urla, giubilo, fischi e trombe da stadio, ma, di fronte a me, vedo anche
la faccia di quello scrittore, la sua domanda mi pungola insistente, e io non
posso fare a meno di vergognarmi. Penso che il silenzio sarebbe più confortante.
Avremmo finalmente la sicurezza della nostra impotenza, saremmo assolti:
tranquilli, non c’è più niente da fare. Non c’è mai stato niente da fare.
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